Capitolo 1
Individui a rischio e ammortizzatori sociali nel tempo: come ha risposto il welfare italiano alla crisi economica?
L’evidenza del 2018 che abbiamo analizzato nel libro riguardo l’impatto dei trasferimenti sociali e del welfare nel contrastare la povertà non costituisce un caso isolato. Rappresenta anzi un risultato in linea con gli anni passati. È ormai da diversi decenni che il sistema di welfare italiano non riesce a funzionare al pari degli altri paesi europei. Nel quadriennio precedente alla crisi l’Italia presentava livelli di povertà relativa più bassi per tutte le fasce d’età (eccezion fatta, ancora una volta, per gli over 65, per i quali si è visto che nel tempo l’incidenza della povertà è andata diminuendo) sia prima che dopo l’intervento degli ammortizzatori sociali. È interessante notare che tra il 2005 e il 2008, prima dell’erogazione dei trasferimenti sociali, gli italiani erano in media meno a rischio anche dei coetanei europei, tranne per quanto riguarda gli anziani. Da qui probabilmente nasce la narrazione che il dramma della povertà riguardi in gran parte gli over64. Tuttavia lo scenario degli anni successivi è radicalmente cambiato.
Già tra il 2005 e il 2008 era evidente la difficoltà del nostro welfare di incidere sulla povertà giovanile. Sebbene inizialmente i minori di 18 anni e i 18-24enni a rischio povertà in Italia siano in percentuale di meno (in media rispettivamente 21,85% e 20,03% contro il 26,18% e 26,08% della Francia e il 23,45% e il 24,08% della Germania), dopo l’intervento dei trasferimenti sociali la situazione si capovolge: l’incidenza della povertà relativa per i minorenni in Italia scende di meno del 6% mentre in Francia l’impatto è di oltre 19 punti percentuali e in Germania di più di 16. In maniera analoga, a fronte del 15,80% di italiani tra i 18 e i 24 anni a rischio povertà, i coetanei francesi e tedeschi a rischio sono in media rispettivamente l’11,83% e l’11,60%. Inoltre, per quanto sia vero che Francia e Germania rappresentano due esempi virtuosi rispetto alla media dell’Eurozona di quegli anni (che fa registrare valori tra il 10% e l’11% circa per entrambe le fasce d’età), anche il Portogallo, la cui composizione demografica è paragonabile a quella italiana, sembra essere in grado di proteggere i propri giovani con maggior efficacia. Rappresenta invece un caso particolare la Grecia, che si posiziona sì su livelli di rischio inferiori rispetto all’Italia, ma fa anche registrare un impatto dei trasferimenti sociali trascurabile (di poco più 2 punti percentuali in media per le fasce più giovani).
Il quinquennio successivo è un periodo caratterizzato da due crisi a livello europeo che hanno inciso in maniera sostanziale sulla crescita e, di conseguenza, con qualche anno di ritardo, hanno colpito le classi più svantaggiate. Se tra il 2009 e il 2013 non sono apprezzabili differenze particolarmente rilevanti nei livelli di povertà relativa, gli anni dal 2014 al 2018 rendono evidente le difficoltà delle fasce più deboli. Ad un sostanziale incremento del numero delle persone in difficoltà però non sembra accompagnarsi un contestuale aumento dell’impatto dei trasferimenti sociali, come sarebbe lecito aspettarsi. Anzi, nonostante l’Italia, insieme alla Grecia, sia stata il paese che ha osservato il maggior aumento del numero di poveri, il differenziale tra l’impatto medio del welfare sui giovani in Italia e l’impatto medio in Germania e Francia è addirittura aumentato. Tutto ciò vale in un contesto in cui l’Italia non aveva però ancora sviluppato programmi di contrasto alla povertà, ma, come spieghiamo nel libro, se il Reddito di Cittadinanza dovesse rimanere com’è, sembra che anche questo strumento possa ricalcare difetti e limiti del welfare italiano degli anni scorsi.
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